sabato 26 maggio 2007

Politica e consenso

E’ scoppiata la polemica sulla politica, sui politici, sui partiti, sulle istituzioni. Un libro di due famosi giornalisti , intitolato “La casta”, è ai primi posti nelle vendite. Massimo D’Alema, in una intervista al Corriere della sera, ha lanciato un grido di allarme avvertendo l’urgenza di una profonda riforma e di un grande cambiamento per rendere più trasparente e più funzionante il sistema politico. Il presidente di Confindustria, Montezemolo, ha lanciato una pesante requisitoria contro il sistema pubblico e contro i partiti facendosi portavoce di una insofferenza diffusa tra la gente. Il Presidente della Regione, Renato Soru, ha annunciato iniziative per eliminare molti privilegi di cui godono i nostri consiglieri regionali. A Bonorva, ormai da molti mesi, si avverte un clima diffuso di ostilità contro l’amministrazione che ha vinto le elezioni comunali appena un anno fà.

Cosa significa tutto questo? Siamo di fronte all’inizio di una fase che può portare a un terremoto, come accadde nel 1992, e ad una profonda modificazione dell’attuale sistema politico?

Affronto subito il nostro problema locale per dire che l’attuale situazione bonorvese non rappresenta alcuna novità rispetto alla nostra lunga e consolidata tradizione: a Bonorva non c’è mai stato un sindaco che abbia governato per due mandati consecutivi. Questo non solo negli ultimi anni ma in tutta la storia del nostro paese. Tutti coloro che hanno amministrato il nostro comune dal giorno successivo alla elezione sono sempre stati oggetto di critiche e contestazioni durissime, salvo poi dire a mandato concluso – e anche questa è una costante – che erano meglio di chi è venuto dopo di loro. Anche nelle discussioni sul blog “Bonorva mai remediu” è emerso questo aspetto quando si è parlato di un sindaco degli anni 70 dando giudizi, appunto postumi, che non corrispondono a quelli che esprimevano i cittadini durante l’attività di governo. Ma questo è successo, appunto, per tutte le nostre amministrazioni.

Questo significa che non bisogna tener conto delle opinioni e dei giudizi della opinione pubblica? Assolutamente no. Ma chi si occupa di questioni politiche ha il dovere di leggere e di capire i meccanismi che portano alla formazione di una opinione diffusa tra la gente e ha il dovere di costruire risposte istituzionali che diano ai cittadini elementi e strumenti di valutazione dell’attività di chi ci amministra.

Il secondo elemento, che ci porta alla discussione ormai diffusa a livello nazionale, riguarda i cambiamenti radicali che devono essere introdotti nel nostro sistema politico e nella nostra pubblica amministrazione: semplificazione di tutti i procedimenti amministrativi e affermazione di una carta dei “diritti dei cittadini”. La pubblica amministrazione deve essere organizzata non per rispondere alle esigenze di chi governa o di chi lavora nel pubblico impiego ma deve essere pensata e organizzata per dare risposte ai problemi del cittadino. E questo cittadino deve essere informato di tutti i suoi diritti e di tutte le opportunità. Così come deve poter accedere, senza passaggi e difficoltà burocratiche, a tutte le informazioni che riguardano l’attività svolta da chi è stato votato ed eletto per governare, ai diversi livelli, e per rappresentarlo nelle istituzioni.

Terzo ed ultimo elemento: una democrazia moderna e avanzata deve consentire a tutti i cittadini, indipendentemente dalle personali risorse finanziarie, di poter esercitare un ruolo di governo se a questo viene chiamato dal libero voto degli elettori. L’esercizio di questo diritto, che garantisce l’eguaglianza di tutti i cittadini, ha dei costi per la collettività. Quelli che, impropriamente, sono chiamati costi della politica sono spesso i costi necessari delle democrazie. Oggi (e per la verità ormai da troppi anni) la salvaguardia di questo diritto fondamentale ha però prodotto un sistema di abusi e di storture basato su privilegi, sprechi e inefficienze a favore di una “casta” sempre più diffusa e fuori da ogni controllo.

Io non credo alla possibilità di una “sollevazione popolare” contro questo sistema. O meglio, non ci credo in questa fase e in questa situazione. Questo sistema è talmente diffuso e radicato che coinvolge la gran parte del nostro paese. Montezemolo, capo degli industriali, ha volutamente evitato di dire quante industrie italiane sono ancora in funzione solamente grazie alle generose elargizioni pubbliche. Basterebbe, per tutte, citare il caso della Fiat. Così come ha evitato di dire che questo sistema è stato per lunghi anni non solo sostenuto ma largamente finanziato, in nero, dai grandi gruppi industriali e finanziari. Così come è vero che le nostre rappresentanze politiche, da Roma sino a Bonorva, sono lo specchio e l’espressione del paese.

Allora, forse, serve solo una piccolissima rivoluzione, un piccolissimo cambiamento che spetta ad ognuno di noi: chi governa inizi a pensare al bene collettivo e non al proprio tornaconto, chi vota non pensi ai favori personali che può ricevere dal potente di turno ma scelga pensando a quello che serve alla collettività. Infine, nelle istituzioni si introduca il principio della trasparenza e si rendano realmente pubblici tutti gli atti, si taglino privilegi e sprechi in un sistema che dovrà essere basato sulla responsabilità personale dei politici e dei funzionari pubblici che siano, finalmente, al servizio dei cittadini.

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